
Il licenziamento disciplinare è una tipologia di recesso che include sia il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (art. 3 della legge 604/1966), vale a dire il licenziamento con preavviso causato da un “notevole inadempimento” del lavoratore ai suoi obblighi contrattuali, sia il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.), e cioè il licenziamento senza preavviso determinato da un comportamento disciplinarmente rilevante del lavoratore talmente grave da non consentire, nemmeno in via temporanea, la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Sommario
Il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.) e cioè il licenziamento senza preavviso è quindi determinato da un comportamento disciplinarmente rilevante del lavoratore talmente grave da non consentire, nemmeno in via temporanea, la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Nello specifico, vediamo alcuni motivi per cui si può verificare la “giusta causa”:
- abuso di permessi retribuiti (ad esempio quelli previsti dalla legge 104/1992)
- eccessivo utilizzo di permessi per malattia
- ricorso a periodi di aspettativa per motivi personali
- assenze ingiustificate o coperte da altri colleghi
- ripetuta mancanza di puntualità o di rispetto dell’orario minimo di lavoro
Negli ultimi anni si sta diffondendo un’altra forma di assenteismo, più subdola e difficilmente dimostrabile, denominata ”assenteismo presenziale”.
Essa si verifica quando sul posto di lavoro il dipendente svolge attività non legate alla propria mansione lavorativa, ad esempio trascorre tempo sui social, fa acquisti online o svolge un secondo lavoro.
Il lavoratore per diverse ragioni perde di vista il motivo per cui riceve un compenso mensile, che è quello di portare valore all’azienda con il suo operato e può essere portato a pensare che il solo fatto di aver firmato un contratto sia una condizione sufficiente per continuare a percepire lo stipendio a fine mese.
Se i tentativi di dialogo non hanno esito positivo, forse è il momento di raccogliere le prove della malafede.
Il dipendente può arrecare grave danno all’azienda anche laddove metta in atto comportamenti prevaricatori nei confronti di colleghi di pari grado o subordinati, creando tensioni con comportamenti ai limiti del cosiddetto “mobbing” oppure perpetuando molestie sessuali nei confronti non solo dei suddetti colleghi ma anche verso un cliente dell’azienda.
Il danno economico che subisce l’azienda dai comportamenti di un lavoratore scorretto potrebbe in alcuni casi rappresentare un rischio per la sopravvivenza della stessa.
Quando ad esempio un manager, un socio o un dipendente svolge azioni fraudolente quali:
- Corruzione e peculato reparto acquisti (il dipendente che si occupa degli acquisti effettua la scelta di un fornitore non per ragioni di competitività complessiva, ma perché sta percependo una commissione nascosta, la cosiddetta “mazzetta”)
- Frodi dei reparti manutenzione, che intascano somme destinate a manutenzioni inesistenti o più economiche rispetto a quanto concordato nei documenti ufficiali
- Concorrenza sleale, violazione del patto di segretezza e di non concorrenza, che si può verificare in diverse modalità, ovvero quando si verifica:
- Furto di dati – ad esempio i database clienti e informazioni sul rapporto tra azienda e clienti (CRM)
- Furto di know-how – quali brevetti, piani industriali, divulgazione di segreti aziendali o in genere la fuga di notizie che possano avvantaggiare dei diretti concorrenti
- Storno di risorse umane – quando si tratta per il passaggio di un collaboratore in possesso di conoscenza aziendale ad un concorrente
In sintesi, quando si delineano fatti che compromettono i principi di fiducia e lealtà tra datore di lavoro e lavoratore che impediscono di fatto la prosecuzione del rapporto di lavoro, è possibile recedere, anche senza preavviso, se si può dimostrare la giusta causa.
Il licenziamento per giusta causa deve essere motivato da evidenze certe dei comportamenti negativi del lavoratore, il quale potrebbe impugnarlo e in caso di licenziamento illegittimo, richiedere un indennizzo o il reintegro in azienda.
Può capitare, se le prove sono raccolte in modo errato, che il giudice le rigetti, disponendo non soltanto un risarcimento, ma anche il reintegro del lavoratore, con ripercussioni ancora più gravi sulla prosecuzione del rapporto.
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